Violenza di genere. Istat "+79,5% chiamate al numero 1522 durante la pandemia Covid"

di redazione 17/05/2021 CULTURA E SOCIETÀ
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Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%). E' quanto emerge dai dati pubblicati dall'Istat nell'ambito dello studio 'Le richieste di aiuto durante la pandemia'.

Il boom di chiamate si è avuto a partire da fine marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2% rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica. 

La violenza segnalata al 1522 è soprattutto fisica (47,9%), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019). Riguardo agli autori, aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020). Lo si legge nel report Istat 'Le richieste di aiuto durante la pandemia'.

Durante i primi 5 mesi del 2020 sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza (Cav), con differenze territoriali molto accentuate. In particolare, la media di donne accolte per Centro, pari a 73, arriva a 108 nel Nord-est e a circa 95 nel Centro. I Cav delle Isole e del Sud hanno invece accolto rispettivamente una media di 43 e 47 donne. Tuttavia il Sud anche negli anni precedenti presentava una media minore di donne accolte rispetto alle altre ripartizioni. L'incremento delle donne accolte dai Cav nei primi 5 mesi del 2020, rispetto ai primi 5 mesi del 2019, non è importante (+1,1%), ma sul territorio le differenze sono rilevanti: si va da +41,5% di donne accolte nelle Isole, a +21,1% al Sud a +5,4% del Centro e +5,2% del Nord-est fino al calo registrato nel Nord-ovest (-16,4%).

Tra le donne che si sono rivolte ai Centri nei primi 5 mesi del 2020, l'8,6% lo ha fatto proprio a causa di circostanze scatenate o indotte dall'emergenza dovuta al Covid-19, come ad esempio la convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell'autore della violenza o della donna. Le regioni che presentano percentuali sopra la media sono il Lazio, il Veneto, la Sicilia, la Sardegna e la Lombardia.

I DATI

I profili delle vittime – Gli abusi segnalati, si legge nel report, nel 47,9% dei casi sono di tipo fisico. Quasi tutte le utenti, però, dichiarano di aver subito più di una forma di violenza, tra cui emerge quella psicologica (50,5%). Aumenta la quota di donne under 24 anni (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e di quelle over 55 (23,2% contro 18,9%). Riguardo gli autori, crescono le violenze da parte dei familiari (18,5% contro 12,6% nel 2019) mentre restano stabili quelle riferibili ai partner (57,1%). La casa si conferma il teatro principale degli episodi: dal 2013 al 2020 il 75% delle vittime indica le mura domestiche come il luogo dove si consuma l’atto violento. Il canale di contatto preferito rimane il telefono, ma crescono anche le richieste di aiuto arrivate alla chat dedicata: da un anno all’altro questa modalità passa da 683 messaggi a 2.361, con un incremento del 71%. Il più delle volte a rivolgersi al servizio sono le stesse vittime, ma non sono rari i casi in cui a segnalare gli episodi sono parenti, amici, conoscenti od operatori dei servizi sul territorio: le segnalazioni di questo tipo crescono di più dell’80%, passando da 745 chiamate a 1.348.

I Centri antiviolenza – Nei primi 5 mesi del 2020, segnala ancora l’Istat, sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza (Cav), con differenze territoriali molto accentuate. In particolare, a fronte di una media di 73 donne accolte per ogni struttura, il dato sale a 108 nel Nord-est e a circa 95 nel Centro Italia, mentre i centri al Sud e nelle isole hanno accolto rispettivamente una media di 43 e 47 donne. Anche negli anni scorsi, specifica la relazione, il Mezzogiorno presentava una media minore di donne accolte rispetto alle altre ripartizioni territoriali. E nell’8,6% dei casi gli episodi hanno avuto origine da circostanze dovute alla pandemia (convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna). Dopo il calo di accessi dovuto al lockdown, il 78,3% dei Centri dichiara di aver trovato nuove strategie di accoglienza, mentre solo sei strutture hanno dovuto interrompere l’erogazione. Nella quasi totalità dei casi (95,4%) i Cav hanno supportato le donne tramite colloqui telefonici, nel 66,5% hanno utilizzato l’email, nel 67,3% i colloqui si sono svolti in presenza nel rispetto delle misure di distanziamento.

Le case rifugio – Per quanto riguarda le case rifugio, nei primi 5 mesi del 2020 sono state ospitate 649 donne, -11,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Questo tipo di ospitalità – spiega l’Istat – ha risentito più degli altri della situazione emergenziale, dal momento che, per evitare di mettere in pericolo le donne già residenti nelle Case, le operatrici hanno adottato altre strategie come l’ospitalità in bed and breakfast o in altre collocazioni provvisorie, rese disponibili anche con il supporto delle Prefetture. Le strutture hanno, infatti, segnalato più spesso dei Cav la difficoltà a organizzare l’ospitalità delle donne e a trovare nuove strategie (nel 55,3% dei casi). Per il 6% delle donne accolte, le operatrici hanno segnalato che è stata la pandemia ad avere rappresentato la criticità da cui ha avuto origine la violenza.


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